Sito di Giuseppina Soricelli

martedì 10 gennaio 2012

DIALOGO E RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITA'

La Scuola secondaria di 1° grado è Scuola dell’Identità in quanto assolve il compito di accompagnare il preadolescente nella sua maturazione globale fino alle soglie dell’adolescenza. Dalla prima alla terza classe egli si pone in maniera sempre più forte la domanda circa la propria identità. Questa “fatica “ interiore del crescere, che ogni preadolescente pretende quasi sempre di reggere da solo o al massimo con l’aiuto del gruppo dei pari, ha bisogno, in realtà della presenza di adulti coerenti e significativi disposti ad ascoltare, aiutare, consigliare, fornire strumenti di ricerca, di comprensione, di gestione positiva dei problemi. In particolare i genitori devono essere coinvolti nella programmazione e nella verifica dei progetti educativi e didattici posti in essere dalla scuola.” Riflettendo su questi obiettivi e osservando quotidianamente i nostri alunni abbiamo la conferma che il compito di noi educatori diventa ogni giorno sempre più complesso. Gli adolescenti, che in un recente passato aspiravano a diventare calciatori, oggi mirano a diventare ballerini, cantanti, presentatori o almeno a partecipare a uno dei tanti quiz televisivi che, con poche domande su personaggi del mondo dello spettacolo, offrono cospicue vincite. Le ragazze invece vorrebbero diventare ballerine o almeno “letterine”, cioè ragazze anonime sempre sorridenti che decorano i palcoscenici di molte trasmissioni televisive, a qualunque ora del giorno. Il processo di costruzione dell’identità si attua nell’interazione con un mondo sempre più complesso e talvolta complicato. Di qui la necessità di maggiore consapevolezza rispetto alla relazione che si instaura con le persone, le cose e con i media. Esiste, infatti, il rischio che la mancanza di conoscenza delle tecniche di comunicazione e di persuasione utilizzate dai media, ponga lo spettatore sia esso adolescente o adulto in uno stato di inferiorità per cui ciò che sembra libera scelta, in realtà è frutto di condizionamenti che sfuggono alle capacità critiche di ciascuno. (1) Il singolo con la sua storia e la sua unicità rischia di essere inglobato in questo mondo fittizio in cui tutti gesticolano, parlano si vestono allo stesso modo. Chi non si identifica con questo mondo si sente o è considerato diverso. L’unicità, la singolarità non sono più attribuite al singolo ma a colui che, per particolari caratteristiche, non è omologabile nel gruppo: allo straniero, al disabile. La diversità viene letta in chiave negativa, come minaccia della propria identità e per questo la presenza del diverso genera sentimenti di paura, ansia, sospetto. La differenza diventa un limite alla comunicazione e il pregiudizio, motore di molte comunicazioni verbali e non, condiziona le azioni sociali, ostacola l’incontro e impedisce di riflettere sulla propria e l’altrui singolarità. L’adolescenza che, da sempre è stata considerata età difficile, in questo particolare momento storico è veramente un’età a rischio perché i ragazzi, alla conquista della loro identità, vengono iperstimolati da tanti modelli di vita che valorizzano bellezza, ricchezza, superficialità nei rapporti interpersonali, eterna giovinezza. Ma cos’è e quanto dura l’adolescenza? A questo proposito mi piace citare la psicoanalista Francoise Dolto che sostiene che questa è un’età vulnerabile e meravigliosa della durata soggettiva, da proteggere e preservare, un’età che ognuno vive in funzione della propria relativa precocità o dei propri indugi, secondo un ritmo individuale.(2) I ragazzi, tradizionalmente oggetto dell’agire pedagogico, nelle ricerche della Dolto diventano soggetti del processo educativo per cui, l’adulto da sempre detentore del monopolio dell’educazione, deve ora creare il dialogo educativo e porsi in posizione di ascolto in modo che il minore possa esprimere il proprio bisogno di essere accettato come soggetto autonomo che si prepara a realizzare il proprio progetto di vita chiarendo a se stesso i suoi desideri, le sue speranze, le illusioni ciò che è finzione da ciò che è realtà. L’adulto che interagisce si assume la responsabilità e il rischio del proprio discorso perché si educa per quello che si è non per quello che si sa. Ma come può la scuola incidere su questa realtà? Come può educare alla differenza, all’altro, al diverso, per creare i presupposti di una cultura dell’accoglienza e impedire l’appiattimento culturale e umano? Non servono tecniche di persuasione né prediche o indottrinamenti, bisogna organizzare la scuola come una piccola società di diversi che non emargina chi non segue il ritmo degli altri né chi ha una storia culturale, religiosa e umana diversa. Perché tutto ciò avvenga è necessario porre come elementi centrali della relazione educativa l’ascolto, il dialogo, la ricerca comune e l’utilizzo di metodologie attive in grado di sviluppare le capacità critiche di porsi delle domande, di imparare a mettersi nei panni altrui, di attivare delle reti di discussione, di uscire dagli schemi e di essere creativi e divergenti. E’ necessaria l’individualizzazione e la personalizzazione degli itinerari d’insegnamento/apprendimento adeguati alle esigenze e alle potenzialità creative di ciascun allievo, coniugando insieme il principio democratico dell’uguaglianza “Tutti Uguali” con quello dell’autenticità della singola persona “Tutti Diversi”.(3) Occorre capire che la “diversità”non è una minaccia all’identità, ma una possibile ricchezza.(4) Anzi, si potrebbe addirittura dire che l’identità si pone tanto più in essere quanto più accetta la diversità e si è disponibili a considerare la propria identità strettamente correlata all’altrui identità.(5) Queste premesse ci portano a scoprire che il processo di socializzazione è qualcosa di più complesso rispetto alla semplice relazione tra due o più persone in un contesto specifico quale potrebbe essere quello scolastico perché emerge chiaramente che: • L’altro è detentore dei nostri stessi diritti. • Solo conoscendo meglio noi stessi, potremo comprendere i messaggi e gli imput che ci vengono dagli altri sui quali costruiamo sin dai primi livelli l’autostima e l’autocoscienza. • Mettendoci in relazione con il “mondo”, potremo conoscerlo nella sua realtà specifica: la natura con la sua biodiversità e l’umanità che esprime le sue diversità in ogni sua azione linguistica o comportamentale (lingua, religione, tradizioni, credenze) • Per socializzare dobbiamo saper comunicare conoscenze e significati del nostro mondo soggettivo interno e oggettivo-esterno attraverso gli strumenti della nostra cultura. Ma per realizzare tutto questo è necessario che la scuola sia un giusto habitat educativo in cui la cultura della diversità nelle sue diverse espressioni sia alla base della sua offerta formativa valorizzi ogni singolo soggetto che apprende con i suoi vissuti, le sue competenze, le sue esigenze, le sue specificità affinché ognuno impari a farsi carico della costruzione del significato di sé e degli altri che coinvolge pensieri, sentimenti e azioni(3). “Nel passato si era affrontato il problema dell’individualizzazione dell’insegnamento in riferimento all’adeguamento dei percorsi didattici ai ritmi ed agli stili di apprendimento dei singoli alunni più che all’adeguamento degli obiettivi formativi alle esigenze espresse dai singoli alunni. In fondo, l’individualizzazione dell’insegnamento veniva utilizzata soprattutto per consentire a tutti gli alunni di apprendere, di conseguire la padronanza, di avere successo nei processi apprenditivi, per raggiungere gli stessi livelli degli altri alunni e quindi per diventare uguali. Il problema della diversificazione delle mete formative restava marginale. Ora, invece, i due problemi si pongono sullo stesso piano di importanza. Da una parte occorre individualizzare i percorsi didattici perché tutti gli alunni possano avere successo nei processi apprenditivi: è questo l’impegno ineludibile della scuola dell’autonomia, chiamata ad assicurare il successo formativo di tutti gli alunni. Dall’altra parte, però, occorre riconoscere e valorizzare le identità: la scuola dell’autonomia è scuola delle identità, le quali, non sono solo identità sociali, culturali, ma sono soprattutto identità personali. Occorre più che mai prendere atto dell’inconfondibile singolarità, originalità, unicità della persona umana di ogni alunno ed impegnarsi, non solo a riconoscerla, ma anche a promuoverla. Alla scuola che si impegna ad omologare gli alunni occorre sostituire la scuola che esplicitamente, intenzionalmente e sistematicamente si impegna a riconoscere, a valorizzare, a promuovere la diversità dei singoli alunni in termini di identità personale, sociale, culturale e professionale. La flessibilità è lo strumento per realizzare la personalizzazione sia dei percorsi formativi che degli obiettivi formativi. La flessibilità consente di adeguare i tempi, i raggruppamenti degli alunni, le aggregazioni delle discipline, l’utilizzazione delle metodologie e delle tecnologie educative e didattiche alle specifiche caratteristiche dei singoli alunni. (6) Realizzare tutto questo è un compito ineludibile della scuola, anche se estremamente impegnativo ma, se è vero che una democrazia si qualifica nella misura in cui sa dare concreta attuazione ai diritti delle persone umane, oggi la scuola non può venir meno all’impegno di garantire ad ogni alunno il pieno sviluppo della persona umana inteso come piena formazione della persona nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e professionali.” (6) 1 - www.aiart.org: MEDIA E IDENTITA’ CULTURALE 2 - Francoise Dolto Adolescenza, Oscar Mondadori, Milano 1990 3 - Rivista Digitale della Didattica: DIVERSITA’- BINI SALVATORE, DIVERSITÀ E EDUCAZIONE. IL PRESUPPOSTO E IL FONDAMENTO DEL CURRICOLO FLESSIBILE NELLA SCUOLA DELL’AUTONOMIA, ANICIA, ROMA 2002 4- www.comitatopace.it/lamiascuolaperlapace.EDUCARE ALL’IDENTITA’, ALL’ALTERITA’, ALLA DIVERSITA’ 5- http://win.homolaicus.com/multicultura/uguale_diverso.htm QUANDO LA DIVERSITA’ AIUTA L’IDENTITA’ 6- Umberto Tenuta, INDIVIDUALIZZAZIONE – AUTONOMIA E FLESSIBILITà DELL’AZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA, LA SCUOLA, BRESCIA 1998

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