Sito di Giuseppina Soricelli

venerdì 30 marzo 2012

PENSIERI DI MARIA MONTESSORI


MARIA MONTESSORI
 “La scuola è quell’esilio in cui l’adulto tiene il bambino fin quando è capace di vivere nel mondo degli adulti senza dar fastidio“.
“Ecco un principio essenziale: insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire le relazioni tra le cose, significa portare conoscenza“.
“Se c’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal mondo del bambino, perché in lui si costruisce l’uomo“.

http://www.youtube.com/watch?v=MHffIX49ano
http://www.youtube.com/watch?v=MHffIX49ano

venerdì 16 marzo 2012

CONSIGLI UTILI PER LA PROVA DI PEDAGOGIA ESAME DI STATO

La seconda prova di pedagogia consiste nella somministrazione di quattro temi: ogni quesito è strutturato con una breve spiegazione dell'argomento da trattare e la traccia finale. Di questi quattro quesiti ne devono essere scelti due che devono essere svolti nello stesso trattato (più collegamenti ci sono e più il testo sarà buono). Un consiglio è quello di scegliere un autore e un argomento:es. Montessori e i Diritti umani; Montessori e il secolo del bambino/diritti dell'infanzia; Montessori ed il metodo didattico; Montessori ed il materiale di apprendimento; Montessori e la scuola come ambiente di apprendimento; Montessori e la pedagogia scientifica; Piaget e le fasi dello sviluppo del pensiero; Piaget ed il problema epistemologico della pedagogia; Piaget e il cognitivismo; Piaget e la scuola attuale.
La difficoltà di questa prova è quella di collegare due argomenti diversi in uno stesso testo, ma con un po' di studio, ragionamento e buon senso possiamo riuscirci.
In vista dell'esame è bene ripassare tutti gli argomenti affrontati durante l'ultimo anno. Possibilmente cercate di ottenere dal prof. il programma svolto in modo da avere sotto mano gli argomenti da studiare e ripassare. Cercate di farvi un immagine d'insieme della materia e createvi una sorta di argomenti che preferite, ma ricordate di non tralasciare gli altri, anzi vi consiglio di studiare sempre prima quelli che più vi sono ostili perché avrete bisogno di più tempo per questo lavoro. Sconsiglio, l'uso del Bignami per lo studio poiché gli argomenti sono trattati in modo troppo sintetico e quindi la memoria rischia di non riuscire a trattenere troppi argomenti. Cercate di tenervi aggiornati su quegli argomenti di cronaca e di attualità che possono essere utili per il vostro esame: ad esempio i fenomeni di sexting, bullismo, uso e abuso di sostanze alcoliche, farmaceutiche o psicotrope. Cercate di analizzare le notizie in modo critico senza farvi condizionare dal pensiero di chi scrive, tralasciate i giornali o gli articoli che trattano questi argomenti solo in modo sensazionalistico, non dovete fare gossip ma esaminare un fenomeno. Tralasciate anche quei programmi televisivi che trattano tali argomenti solo per odiens, poiché spesso gli ospiti non sono adeguatamente preparati su certi temi e parlano solo per guadagnarsi il gettone di presenza. Più argomenti conoscete e più sarete in grado di scrivere, se fate un esempio di attualità o cronaca cercate di non esagerare e attenti a non urtare la sensibilità di chi deve leggere lo scritto. Ricordate che è comunque un esame, non una dissertazione puramente personale.

Cosa è bene ripassare?
I principali autori svolti durante l'anno per quanto riguarda la storia della pedagogia.
Argomenti come: le fasi di vita e di crisi in particolare: la prima e la seconda infanzia, pre adolescenza e adolescenza, la giovane età e l'età adulta, la terza età; dal punto di vista biologico, fisico, psicologico e problematiche correlate,ad esempio: la prostituzione giovanile, il disagio fisico e mentale, l'handicap, l'uso e abuso di sostanze psicotrope, alcool, farmaci, la devianza giovanile, il disagio, il rapporto media e TV, giovani e internet, la sindrome del nido vuoto (età adulta), i diritti umani. Ovviamente non dovete inventarvi niente dovete ripassare solo ciò che avete fatto durante l'anno scolastico.
Avete 6 ore quindi non allarmatevi, inoltre vi sarà consentito l'utilizzo del vocabolario di italiano.
Consiglio di studiare sin da adesso in modo tale che poi dobbiate solo ripassare, inizialmente potrà sembrare inutile ma vi assicuro che il tempo speso per lo studio non sarà tempo perso, poiché tutto ciò che viene capito, rielaborato e fatto proprio (notate che non ho detto memorizzato, che è ben diverso dall'aver capito) viene naturalmente immesso nella memoria a lungo termine, la stessa che vi permette di non dover imparare a leggere o scrivere o camminare ogni giorno, quindi nel momento del ripasso risparmierete tempo, stress e ansia. Consiglio, inoltre di leggere, se presenti nel manuale i stesti scritti dagli autori studiati poiché avrete la possibilità di farvi una vostra idea personale e sarete in gradi di collegare argomenti e autori in modo semplice e fluido.
Prima della stesura del testo d'esame, consiglio di leggere più volte l'indicazione ed il testo ministeriale ed in base a questo fare una sorta di brain stroming, in modo da poter avere un idea degli argomenti/concetti che potrete trattare e di quelli, invece che potrete scartare sin dall'inizio.


LA SCUOLA REITERA L’ERRORE DI CARTESIO E DI PIAGET di Pasquale Picone

Il liceo delle Scienze Umane è la nuova denominazione dell’Istituto Magistrale, la scuola superiore dove, dal secondo dopoguerra del Novecento, c’è stato l’insegnamento specifico di psicologia generale e dello sviluppo. Un indirizzo di scuola superiore che in Italia ha contribuito, per oltre mezzo secolo, a formare i docenti della scuola di base: scuola dell’infanzia ed elementare.

Nel curricolo di psicologia del primo anno (quattro ore a settimana) le lezioni iniziali dell’anno scolastico sono dedicate all’unità didattica sugli organi di senso, propedeutica ai moduli di apprendimento sulla percezione. Ogni anno si ripete puntualmente la stessa scena. Quando il docente chiede qual è l’organo di senso del tatto, la stragrande maggioranza degli studenti, rispondono: Le mani, è ovvio!”.

Non è del tutto semplice per il docente, come potrebbe apparire, far assimilare in tempi brevi agli studenti la riflessione sul fatto che le qualità degli stimoli tattili sono rilevabili diffusamente su tutta la pelle, compreso, ad es., il cuoio capelluto o la pianta del piede. L’assimilazione, nonostante l’inequivocabilità, l’evidenza e l’mmediatezza dell’esperienza sensoriale, in quanto alla portata diretta di ogni singolo studente, richiede tempi lunghi. Come si spiega che i precedenti fattori non sono sufficienti a produrre in tempi brevi la stabilizzazione di una chiarificazione concettuale? Osservare l’inerzia di concetti, idee e rappresentazioni, è sempre molto istruttivo per chi si occupa di processi cognitivi e di insegnamento/apprendimento. Una simile difficoltà mette a nudo la reiterazione, l’inossidabilità, di rappresentazioni precoci che si oppongono pervicacemente alla revisione e al ri-orientamento, in questo specifico caso, della propria immagine corporea.

Ancora più problematica risulta l’assimilazione, e la stabilizzazione nel tempo, del concetto della pelle come vero e proprio organo di senso del tatto. Una simile problematicità si osserva lungo il corso dell’intero anno scolastico, attraverso momenti diversificati dell’attività didattica. Sia in relazione alle verifiche del profitto scolastico nei periodici colloqui individuali, sia nei dibattiti e nelle discussioni collettive sui processi psicologici. Anche nei successivi moduli di apprendimento, i quali richiamano direttamente o indirettamente problemi di percezione, il concetto errato delle mani come organo del tatto riaffiora di tanto in tanto. Testimoniando una certa inossidabilità ad aggiornarne la concettualizzazione.

Per l’osservatore di alcuni processi cognitivi della mente degli adolescenti, la prova del nove, del rifiuto delle mani a cedere il ruolo di organo del tatto, si ottiene al secondo anno. Durante le prime lezioni del nuovo anno scolastico, quando si vanno a richiamare i concetti sulla percezione, sui quali si è lavorato nel corso dell’intero anno scolastico precedente, il vecchio concetto delle mani-organo si riaffaccia, in alcuni studenti, con inesorabile puntualità.

Per i docenti è un’esperienza veramente impressionante, proveniente dal vivo del lavoro d’aula, dell’errore di Piaget segnalato a suo tempo da H. Gardner, lo studioso delle intelligenze multiple. Egli dice:

«Io sostengo che, quando ha affermato che i modi di conoscere più sofisticati del bambino più grande eliminano le sue forme precedenti di conoscenza del mondo, Piaget ha commesso un errore fondamentale. Forse ciò avviene nel caso degli esperti; ma ricerche condotte su studenti comuni rivelano una realtà drammaticamente diversa. Per lo più, le prime concezioni e i primi fraintendimenti dei bambini durano per tutta l’età scolare; e una volta che il giovane abbia abbandonato l’ambiente scolastico, queste prime visioni del mondo possono benissimo emergere (o riemergere) in tutta la loro vitalità. Lungi dall’essere state sradicate o trasformate, semplicemente hanno vissuto una vita sotterranea; al pari dei ricordi repressi dell’infanzia, si fanno avanti nelle situazioni in cui sembrano appropriate».

Gardner H. Educare al comprendere. Stereotipi infantili e apprendimento scolastico. Milano, Feltrinelli, 1991, p.39.

Ora, per capire l’eziologia di un simile processo, bisogna analizzare l’origine precoce della rappresentazione delle mani-organo.

Basta recarsi in una qualsiasi aula di prima elementare ed osservarne le pareti. I cartelloni didattici riproducono l’insegnamento di alcuni principii di Comenio, filosofo ermetico e fondatore della pedagogia moderna. Nell’Orbis sensualium pictus, scritto nel 1653-54, Comenio illustrava le ragioni di associare sempre delle immagini concrete all’apprendimento della lettura e della scrittura di parole. Nelle aule della prima elementare in Italia, a fianco della parola “vista”, i cartelloni riproducono l’immagine degli occhi, all’olfatto corrisponde l’immagine del naso, e così via. Sino alla parola “tatto”, alla quale corrispondono le mani.

Tale rappresentazione precoce costituisce un imprinting che, se non corretta, aggiornata ed integrata, perdurerà tutta la vita. Distorcendo, di fatto, la mappa cognitiva dello schema corporeo in larghi strati della popolazione.

Tuttavia, questo primo resoconto sulla corretta concettualizzazione della pelle come organo di senso, non è sufficiente per descrivere la profondità e l’ampiezza della disfunzione di una rappresentazione che gioca un ruolo non trascurabile nell’elaborazione dell’immagine di sé e della vita di relazione, soprattutto nell’adolescenza. Quest’ultimo, inteso come periodo “costruttivo”, ma non certamente esaustivo, dei fondamenti dell’immagine di sé. E’ nell’esperienza, di chiunque rifletta, il prolungarsi di elementi adolescenziali nella vita adulta. La psicoanalisi ci ha documentato la sostanziale ricorsività, in stadi di sviluppo posteriori, dei processi specifici di fasi precedenti dell’evoluzione psichica.

Esistono altri due vertici di osservazione grazie ai quali si può rendere più completa la rappresentazione del ruolo giocato dalla pelle nella vita umana. E coglierne altresì la dissonanza cognitiva come esito di un processo cumulativo ingenerato, inizialmente dalla buona intenzione della semplificazione, da quei cartelloni didattici di prima elementare, nel corso dei diversi stadi dello sviluppo della personalità.

Negli studi sul fenomeno dell’attaccamento tra madre e bambino, condotti da Harlow e Bowlby ed in quelli, leggibili in diretta continuità con i precedenti, sullo sviluppo affettivo di Winnicott, Spitz ed altri, il ruolo della pelle nell’allattamento, nell’abbraccio e nelle interazioni di accudimento, risulta cruciale. Una madre depressa o demotivata (pensiamo ai casi di bambini frutto di gravidanze non desiderate) trasmetterà il suo stato emotivo attraverso un insufficiente contatto epidermico. Il bambino che non riceve contatti cutanei si ammala più facilmente e, nei casi più gravi, può sviluppare una depressione anaclitica. Alcune esperienze hanno dimostrato che bambini prematuri sottoposti a massaggi e carezze, riprendono ed intensificano la crescita, rispetto ad altri che non ricevono gli stessi stimoli cutanei. Da questo complesso di ricerche si ricava una rappresentazione della pelle come organo non solo del tatto ma anche di trasmissione delle emozioni.

Un terzo stadio della rappresentazione della pelle è ancora più complesso e profondo, poiché implica una funzione simbolica inerente alla vita inconscia. Una rappresentazione che giunge a configurare la pelle, per così dire, come organo della socializzazione. Questo stadio lo si osserva a proposito dei gruppi di adolescenti.

«A differenza delle “compagnie”, tipiche del periodo della latenza, questi gruppi sono tenuti insieme più che dalle affinità, dall’eterogeneità dei membri. Sono gruppi, cioè, che permettono una molteplicità di identificazioni. Ogni membro del gruppo è vissuto come una parte del Sé e l’intero gruppo come un contenitore di tutte le parti scisse. Il gruppo diventa, simbolicamente, l’equivalente psichico della pelle» (Canestrari R., Psicologia generale e dello sviluppo, Bologna, Clueb, 1984, p.591).

L’interesse di questa configurazione riveste un particolare interesse per lo sviluppo del Sé che, nella concezione junghiana della psiche, rappresenta sia la personalità globale che il vero nucleo centrale della personalità stessa. Il Sé, insieme al processo di individuazione e alla funzione trascendente si posizionano come categorie portanti dell’intero contributo di C. G. Jung, il cui pensiero costituisce l’esito più recente della filosofia ermetica.

All’equivalente psichico della pelle, dove si integrano le parti scisse del Sé, si dovrebbero connettere anche le riflessioni di non pochi autori che vedono la condizione attuale dell’adolescenza caratterizzata da multiformi “mutilazioni del Sé”:

«Il narcisismo naturale è sempre meno contenuto dai limiti offerti dagli adulti. Anzi, vengono costantemente suggerite attese infinite e viene sminuito e ridotto lo spazio e il tempo dedicati alla costruzione del sé; allo stesso tempo però, il mondo mostra tutto intorno limiti terribili quali l’Aids, le guerre, la mancanza di lavoro e le nuove povertà, il disastro ambientale che sta provocando il progressivo inquinamento del pianeta e la distruzione dell’ecosistema eccetera.

La costruzione del sé, possibile prima del confronto con il reale, è un processo oggi più difficile. Aumentano le tensioni o verso fantasie onnipotenti ma irraggiungibili o, al contrario, in modo speculare, verso la rinuncia e lo stato di attesa, spesso depressiva.

C’è una situazione diffusa di perdita, che assume molte forme e mostra non solo una mutilazione negli scambi manifesti tra adulti e bambini o adolescenti, ma anche una limitazione dello spazio interno dei bambini o adolescenti stessi: una mutilazione del sé delle persone in crescita» (AA.VV., La scuola deve cambiare, Napoli, L’ancora, 2002, p.17).

C’è da aggiungere che anche i dati delle ricerche sulla psicosomatica dei disturbi della pelle, nelle teorie dell’intelligenza emotiva di Goleman e altri, la pelle si presenta come l’organo primario delle emozioni nella vita infantile. Trovando continuità e conferma nella sessualità e nelle dinamiche affettive delle fasi successive della vita.

Nel suo bellissimo libro su L’errore di Cartesio, A. Damasco (Milano, Adelphi, 1995) presenta delle prove autorevoli e molto persuasive, di neurologia clinica e sperimentale, a favore del ruolo fondamentale giocato dalle emozioni, dagli affetti e dai sentimenti per i processi cognitivi.

Una rappresentazione collettiva più oggettiva dell’organo del tatto, che è contemporaneamente organo dei transfert emozionali nelle fasi precoci dello sviluppo ontogenetico, del confine con la realtà esterna e di una funzione simbolica, metabolica della socializzazione nell’adolescenza, contribuirebbe a farci uscire di più dal secolare errore di Cartesio della separazione tra il cogito dei processi cognitivi e le emozioni provenienti dal corpo.

Infine, la riflessione sulla vicenda della pelle, olisticamente concepita nella sua triplice scansione evolutiva di organo del tatto, organo delle emozioni e rappresentante simbolico di organo contenitore della socialità nell’adolescenza, fa riflettere sulle difficoltà e le lentezze storiche della scuola, che vanno esse stesse comprese in profondità. Lentezza nell’aggiornare la strumentazione concettuale, onde fornire alle nuove generazioni una rappresentazione, in questo caso della realtà umana, rivista alla luce dei risultati della ricerca e della conoscenza scientifica.

Tuttavia, tali difficoltà e lentezze, anziché vederle solo attraverso il riflesso condizionato della responsabilità degli operatori che erogano il servizio formativo (von Foerster: «bisogna comprendere ciò che si vede, altrimenti non lo si vede»), va colto nella pressione inconscia (quindi: tanto più efficace quanto più profonda, nascosta e difficilmente evidenziabile) di induzioni, inoculazioni e vere e proprie identificazioni proiettive negative di una funzione della scuola definita da una delega del controllo, di una mera ripetizione e trasmissione di conoscenze datate. Una pressione proveniente in gran parte da una inadeguata e disfunzionale struttura storica, tuttora vigente, dei processi di formazione della professionalità docente.

Forse la scuola, provvedendo a sostituire l’immagine del corpo umano intero a quella delle mani, quando trasmette ai bambini di 5/6 anni la rappresentazione del tatto, sicuramente non risolverebbe, con un intervento così semplice, la disfunzionalità di rappresentazioni la cui profondità ed estensione, come si è visto, è alimentata da contenuti teorici prodotti da autori quali Cartesio e Piaget. Rispetto ai quali potrebbe anche scattare, come antidoto, l’aiuto della presa di coscienza degli idòla theatri («molti principi e assiomi delle scienze che si sono affermati per tradizione, fede cieca e trascuratezza») di baconiana memoria. Sicuramente, però, quel semplice gesto della scuola, potrebbe documentare una mentalità di ricerca, tesa a prendere coscienza degli errori, delle semplificazioni parcellizzanti e degli scotomi che generano dissonanze cognitive.

La mentalità di ricerca






















































LA PSICOLOGIA UMANISTA

Negli anni ’50 si diffuse negli Stati Uniti, forse sulla scia dell’influenza degli insegnamenti portati in quel continente da Alfred Adler negli anni ’20-‘30, una nuova corrente della psicologia, avente alla base un nuovo punto di partenza, quello dell’uomo al centro del processo, con tutto il suo potenziale positivo. All’epoca erano imperanti essenzialmente due approcci: la psicoanalisi e il comportamentismo, centrati sul modello pulsionale, il primo, e su quello sperimentale - meccanicistico, il secondo. Si profilava l’urgenza di costituire, in opposizione alle due correnti menzionate, una Terza Forza nella psicologia e si avvertiva dunque l’esigenza di guardare all’uomo e al suo comportamento non più come dettati solo da pulsioni e da meccanismi di stimolo/risposta alle sollecitazioni dell’ambiente, ma come animato da spinte all’autorealizzazione e all’espressione del suo pieno potenziale.

L’iniziatore di questo movimento, la cosiddetta psicologia umanistica, fu probabilmente Carl Rogers, il quale pose l’accento sul mettere al centro del processo di cambiamento il cliente: non più paziente dunque, proprio per valorizzarne le capacità espressive e di autoguarigione, in un clima positivo di accettazione incondizionata, con una terapia non direttiva fondata sull’empatia. Cambiò di conseguenza anche il setting; non più il tavolo del medico né il distaccato lettino psicoanalitico, bensì la posizione vis-à-vis, di confronto tra due individualità con un pari livello di umanità, pur se con ruoli differenti in quel momento: il terapeuta/agevolatore e il paziente/cliente. Un altro grande esponente della corrente umanistica fu Fritz Perls, cui si attribuisce la paternità della Psicoterapia della Gestalt, il quale pose l’accento anche sul tema del contatto e di una gestione sapiente dei confini, come forme di facilitazione alla consapevolezza e al cambiamento. Inoltre, introdusse e mise in pratica il concetto di simpatia (complementare, e non opposto, a quello di empatia), dando luogo ad una maggiore partecipazione, autenticità e talvolta direttività nel setting terapeutico. Altri grandi esponenti della psicologia umanistica possono essere considerati Moreno, Lowen, Fromm, i quali diedero l’avvio a diversi, importanti approcci.

Tuttavia, la personalità più rilevante in questo contesto, a mio avviso, è stata senz’altro Abraham Maslow, il quale non praticò primariamente la psicoterapia, ma si dedicò essenzialmente a studi e ricerche antropologiche e sul comportamento dei primati, nonché all’insegnamento accademico, e intuì la struttura gerarchica delle motivazioni nell’essere umano, individuando l’origine della psicopatologia nella mancata e reiterata non soddisfazione dei bisogni emergenti durante il corso dello sviluppo. Pertanto, aprì anche alla clinica una possibilità di lettura più ampia del disagio umano, visto non più con atteggiamento oggettivistico o limitato all’interpretazione del sintomo, ma collocando altresì quest’ultimo nella storia evolutiva dell’individuo in ordine al rapporto con i propri bisogni. Egli fu il primo a parlare della psicopatologia della norma, quel disagio sperimentato dalle persone che hanno raggiunto un buon adattamento ma non riescono ad andare oltre. Così come si può soffrire per non aver raggiunto l’adattamento alla società e ai ruoli, si può soffrire altrettanto, se non di più, quando questa fase è stata raggiunta ma non si riesce ad accedere all’autorealizzazione, il che significa poter superare la logica, la morale e la vita convenzionali, per seguire le proprie aspirazioni e la realizzazione del proprio potenziale nascosto. A tale proposito, egli pose fra le ipotesi del nuovo punto di vista l’esistenza, in ogni essere umano, di una natura interiore essenziale, fondata biologicamente, intrinseca, che non muta.

Secondo Maslow, se consentiamo a questa natura interiore buona di governare la nostra vita, ci svilupperemo verso la salute, la fecondità e la felicità; ma se questo nucleo essenziale della persona viene negato o represso, allora la persona si ammala. Inoltre, poiché la natura interiore è debole, delicata e sottile, facilmente l’abitudine, la pressione culturale, gli atteggiamenti errati nei suoi confronti la sopraffanno. Ed essa verrà così repressa; ciononostante, premerà sempre per realizzarsi. Risulta allora fondamentale superare l’adattamento, in quanto esso, se posto come stile di vita della persona, contribuisce a reprimere sempre di più la natura interiore, impedendole di esprimere le sue potenzialità. Maslow, parlando di motivazioni, distingue tra motivazione carenziale e motivazione di accrescimento, intendendo con la prima quel movimento che tende a riempire i vuoti carenziali e con la seconda il movimento che tende all’accrescimento.

La motivazione di accrescimento riguarda soprattutto le persone sane, le quali hanno soddisfatto a sufficienza le proprie necessità fondamentali di sicurezza, appartenenza, amore, rispetto e stima di sé, e dunque risultano motivate primariamente da tendenze all’autorealizzazione. Le persone sane hanno una percezione della realtà superiore alla media, maggiore accettazione di sé, degli altri e della natura, maggiore spontaneità e autonomia, struttura del carattere più democratica, accentuata capacità creativa. I bisogni carenziali possono essere soddisfatti solo da altre persone; ciò implica una considerevole dipendenza dall’ambiente; all’opposto, gli individui che si autorealizzano sono assai meno dipendenti, assai più autonomi e autodiretti. Ben lungi dall’aver bisogno degli altri, le persone motivate dall’accrescimento possono in realtà sentirsene disturbate. In esse si trova normalmente autodisciplina, che non si trova nella media delle persone; per loro il dovere e il piacere sono la medesima cosa, così come il lavoro e il gioco, l’interesse per sé stessi e l’altruismo, l’individualismo e il disinteresse.

Al cuore della rinuncia all’autorealizzazione, secondo Maslow, è la difficoltà dell’essere umano motivato in modo carenziale di abbandonare i bisogni di sicurezza, appartenenza e identificazione, in nome dell’autorealizzazione; perciò, la psicopatologia della norma risulta essere una fissazione ad uno stadio in cui si preferisce rinunciare all’espressione di sé perché si pensa che farlo coinciderebbe con la perdita di sicurezze (economiche, affettive, ecc.). Il lavoro di Maslow ha esplicitato una concezione dell’essere umano in costante evoluzione, che può andare ben oltre la cosiddetta età evolutiva e l’adattamento. Egli avvertì l’urgenza di una psicologia che considerasse lo sviluppo umano al di là di quello convenzionale, incentrata sul cosmo anziché sui bisogni e sull’interesse umano, che oltrepassasse anche il bisogno dell’autorealizzazione, per accedere all’autotrascendenza, e che includesse nel suo paradigma anche la spiritualità e i portati delle tradizioni sapienziali di tutti i tempi e luoghi. Pose così le basi per la Quarta Forza della psicologia, la psicologia transpersonale, attualmente diffusa sia negli Stati Uniti che in Europa, in diverse correnti e orientamenti.