Sito di Giuseppina Soricelli

venerdì 13 gennaio 2012

ESSERE UN INSEGNANTE METACOGNITIVO

Essere tutto ciò, non equivale ad una definitiva "elezione" ad insegnante metacognitivo, perché ognuno di questi indicatori implica un divenire, un continuo "tendere verso…", ci ricorda la provvisorietà, l'incertezza, la fatica, ma anche la magia del nostro lavoro.

Essere (o diventare) un insegnante metacognitivo è una caratteristica (evoluzione) di ogni professionista che operi nel campo impegnativo, e al contempo gratificante, della formazione della personalità delle nuove generazioni.
Adottare strategie di Didattica Metacognitiva non significa soltanto sperimentare nuove tecniche didattiche, significa piuttosto mettere in questione, ogni giorno, la propria professionalità, allo scopo di migliorarla e renderla sempre più adeguata alle sempre più difficili domande che i nostri allievi ci pongono.
Quali sono le caratteristiche di un insegnante che voglia dichiararsi "metacognitivo"?
Conoscere la propria materia, per poterla mediare agli allievi.     Conoscere le altre materie, per poter ricercare i collegamenti necessari all'unitarietà del sapere.  Conoscere le teorie dell'apprendimento per poterle mettere in pratica.  Conoscere metodi di sperimentazione per attualizzare, nella pratica, le teorie. Conoscere elementi di docimologia: saper valutare vuol dire saper progettare.  Conoscere la didattica dell'errore, per saper valorizzare le differenze e saper risolvere problemi. Conoscere modalità di esplorazione e comprensione del contesto, per agire significativamente su di esso. Conoscere se stesso, per potenziare le proprie abilità: relazionali, cognitive, didattiche, …L'insegnante metacognitivo è un insegnante:  Riflessivo - Osservatore - Empatico -Autorevole - Organizzato-Che sa mettersi in relazione-Che sa mettersi in  dicussione-Che sa porsi come modello positivo-Che sa ispirare l'attività degli allievi.  Saper motivare all'apprendimento- Saper valorizzare le abilità, rinforzare l'autostima. - Saper progettare percorsi significativi di apprendimento.-Saper mediare contenuti e strategie-Saper facilitare l'apprendimento- Saper essere un modello di autonomia-Sapersi accorgere dei problemi-Sapersi sorprendere della scoperta. Ma soprattutto avere, come i nostri allievi, la curiosità di scoprire sempre nuovi saperi, diventare padroni della propria cultura e voler comprendere l'altrui, conoscersi e amare la conoscenza.

Il coaching


Il coaching è il processo attraverso il quale si aiutano individui e gruppi di persone a realizzare obiettivi che da soli non potrebbero raggiungere e a dare il meglio per produrre risultati in modo veloce ed efficace.
Il coach sostiene le loro scelte e offre gli strumenti per ricercare in sé stessi le risorse necessarie ad attuare precisi e mirati piani d’azione per il raggiungimento del successo.
Questo processo comporta l’espressione piena della forza delle persone, che vengono aiutate ad aggirare i propri limiti e le proprie barriere perché possano dare il meglio di sé, e vengono indotte a realizzare prestazioni più efficaci
.
Il termine coach deriva dall’inglese “coche” che corrisponde al moderno “wagon” (carro) o “carriage” (carrozza), quindi allude all’idea di trasporto. Furono poi degli studenti universitari ad attribuire l’appellativo di Coach ai loro tutor migliori, proprio a sottolinearne il ruolo di supporto. Nel linguaggio sportivo la parola Coach indica infattil’allenatore con il duplice ruolo di “tecnico” esperto dello sport in questione ma anche motivatore, capace di infondere ai suoi atleti l’energia, l’entusiasmo e la carica necessari ad affrontare la sfida della gara.
Il coach è dunque un veicolo di cambiamento, di crescita: trasporta una o più persone da uno stato di partenza alla meta desiderata, (la vittoria nel caso sportivo, il raggiungimento di determinati obiettivi, come trovare lavoro, gestire efficacemente gli stati d’animo, relazionarsi con successo o acquisire nuove quote di mercato nel caso del coaching personale o aziendale) grazie alla definizione degli obiettivi e di un piano d’azione.
Un coach efficace quindi osserva il comportamento di una persona ed è in grado di fornirle guida e consigli per ottenere dei miglioramenti in situazioni e contesti specifici ed inoltre promuove lo sviluppo delle competenze comportamentali della persona attraverso un’accurata attività di osservazione e feedback.

LE EMOZIONI

A volte mi capita di sentire il parere di alcune persone che rifiutano la possibilità di imparare a gestire le proprie emozioni per “paura di diventare un robot privo di emozioni”! Questo è paradossale e molto lontano dal vero significato di gestione delle emozioni.
Dunque, vediamo di fare un po’ di chiarezza. Fin dalla nascita, veniamo letteralmente “addestrati” (o educati se preferisci) alla ripetitività di alcune emozioni specifiche, che, nel tempo, diventano le nostre abitudini emozionali. Ci abituiamo alla calma e alla felicità, così come ci abituiamo alla rabbia o all’ansia.
Se da piccoli abbiamo vissuto con persone che ci hanno molto criticato, potremmo aver imparato a condannare o giudicare in maniera eccessiva; se abbiamo vissuto in un clima di paura, probabilmente abbiamo imparato ad essere apprensivi e ansiosi; e ancora chi ha vissuto in un ambiente molto rigido, ha potuto imparare a provare senso di colpa in seguito ad ogni errore.
I bambini imparano quello che vivono, come sostiene una meravigliosa poesia di D. Law Nolte..
Quello che spesso crediamo erroneamente è che le emozioni siano elementi che nascono insieme a noi. Ma non è affatto così. Nessun bambino nasce ansioso, teso o arrabbiato. Lo diventiamo, in seguito alle influenze delle persone che ci educano, all’interpretazione che diamo agli eventi, e sulla base delle nostre percezioni individuali.
Non esistono emozioni positive o negative in assoluto. Ogni emozione può essere produttiva e utile o dannosa, dipende dall’uso che ne facciamo. Facciamo un esempio: provare un po’ di paura prima di una performance è stimolante, aiuta a dare il massimo … ma se la paura diventa tanta, allora è come se fosse un terribile padrone che ci rende schiavi, può bloccarci, limitarci, impedirci di raggiungere i nostri obiettivi.. stessa cosa vale per ansia, tensione, rabbia, rigidità…
Le emozioni sono una grandissima risorsa, una fonte di energia infinita che purtroppo in molti trascurano. Crediamo di aver bisogno solo di cibo e acqua per nutrire il nostro corpo e per vivere bene, ma, oltre al nutrimento per il corpo, abbiamo bisogno di nutrire la mente che, si dice - o cresce, o muore - .
Le emozioni sono il carburante di ogni comportamento. Tutto dipende da come ci sentiamo e dalle emozioni che proviamo. Ti è mai capitato di sentirti in piena forma, forte, capace, sicuro e di riuscire perfettamente in ciò che desideravi? Ma certamente ti è anche capitata la situazione contraria, ti sei sentito stanco, stressato, giù di tono o sfiduciato e non sei riuscito nell’intento che desideravi. Come mai? Non sei sempre la stessa persona? Certo che si, ma provi emozioni diverse a volte potenzianti, altre depotenzianti.
Cos’è che provoca una emozione? Moltissimi fattori innescano le nostre emozioni come le immagini inconsce depositate nella nostra mente, le associazioni mentali di pensieri, il dialogo interiore, le convinzioni profonde.. tutti elementi che noi possiamo conoscere, e migliorare, cambiando ciò che ci danneggia e ci limita.
Si può imparare a ridurre l’intensità di una emozione sgradevole e  disfunzionale e ad amplificare invece le emozioni positive e funzionali. E’ solo questione di informazioni, conoscenza e naturalmente ci vuole il giusto allenamento. Nei prossimi articoli vi racconterò dei metodi semplici ed efficaci per imparare a fare questo, intanto ti suggerisco se sei interessato, di prenotare una sessione di prova di PNL Emozional Wellness un interessante percorso di allenamento settimanale che lavora sul benessere emozionale.
Adesso facciamo un gioco, prova a pensare ad un momento della tua vita in cui ti sei sentito davvero forte, sicuro, entusiasta e … felice… te lo ricordi? Pensaci intensamente. Mentre riporti alla mente quella esperienza puoi notare di poter riprovare ora quelle sensazione come se esistessero in questo momento. Come mai? Che succede? Succede che la mente funziona per immagini, immagini che immagazziniamo, a cui diamo un significato e associamo una sensazione. Più pensiamo ad un qualcosa più continuiamo a produrre nuove immagini nel nostro cervello. Questo significa che più pensiamo ad un qualcosa e più rafforziamo quel qualcosa a livello mentale.
Alcune teorie sostengono che la rabbia va sfogata per fare in modo di poterla eliminare. Nulla di più falso. Più ci arrabbiamo e più creiamo nel nostro cervello delle neuro-associazioni della rabbia, e quindi rafforziamo sempre di più l’abitudine ad arrabbiarci. La rabbia è negativa quanto ti porta a soffrire, a non essere soddisfatto della tua vita e a fare del male a te e agli altri. Nel percorso formativo PNL Emozional Wellness lavoriamo in maniera profonda sull’eliminazione della rabbia e dell’ansia, le due emozioni più dannose, con esercizi semplici e facili che, una volta imparati, si possono fare ogni giorno in casa.
Imparare ad educare le tue emozioni è un bellissimo viaggio di conoscenza di te stesso e di miglioramento personale. Ti aiuta a diventare più libero e più consapevole, a goderti la vita in modo nuovo e più autentico e a migliorare le tue relazioni sentimentali, lavorative, con i figli.
Nei prossimi articoli parleremo di come iniziare ad osservare le tue emozioni e delle tecniche più innovative ed efficaci di PNL per imparare a gestirle e quindi aumentare la qualità della propria vita.
Intanto visto che il Natale si avvicina, potresti pensare di fare un regalo originale e unico a qualcuno che ami, un regalo accessibile che dura per tutta la vita. Potresti regalare un percorso di sviluppo personale per regalare l’opportunità di sviluppare maggiore forza, serenità, calma e felicità. E’ di certo un regalo unico, originale e profondamente utile al benessere.
La consapevolezza e la gestione delle dinamiche mentali ed emozionali sono spesso la vera chiave di accesso alla felicità. E tutti possiamo accedervi facilmente…basta solo volerlo.
 

COME SCOPRIRE LA TUA CREATIVITA'

In qualsiasi situazione ti stia trovando in questo momento, ti viene offerta la possibilità di scegliere il modo in cui l’affronterai.  Userai la tua creatività o sceglierai la prigione dei tuoi preconcetti ? Dovresti ricordare che non esistono circostanze che non possono trasformarsi in opportunità di arricchimento spirituale. Ogni esperienza è in grado di insegnare qualcosa di utile, ma sei tu che dovrai scegliere se essere passivo e immobile o agire.
Agire nella direzione che ti appartiene. Non è importante il luogo da cui parti, potrebbe essere il tuo posto di lavoro, un letto di ospedale, un piccolo paesino di provincia o una metropoli. In qualsiasi posto potrai essere abbastanza vivo da ricavare qualcosa di utile dall’esperienza che stai vivendo. Allora vivi creativamente !! Vivi ogni tua potenzialità, vivi ogni tua capacità. Sei un uomo, quindi puoi. Per farlo, dovrai uscire dagli schemi rigidamente prefabbricati dal tuo passato. La persona decisa a “farcela” e a non diventare vittima di qualcosa o di qualcuno, o di se stessa, agisce. Agisce traendo da ogni circostanza il corretto insegnamento perché sa che in tali situazioni ci è andata a finire da sola. Vivere con creatività significa essere vivi. Significa guardarsi intorno e chiedersi: “ come potrei ricavarne un’esperienza positiva”? cosa potrei dire, fare, pensare o provare in modo da trarre un insegnamento e da arricchirmi interiormente? Imparerai così ad aggirare le difficoltà…
Il banco di prova che ti permetterà di testare la tua creatività non è rappresentato dalle tue normali attività quotidiane, bensì dalle volte in cui ti troverai ad affrontare qualche difficoltà inaspettata. Spesso è più facile arrendersi, ma la resa è quasi sempre un comportamento autodistruttivo, perché si rimane delusi e amareggiati e si diventa vittime di tale delusione e amarezza. Solo chi rifiuta di accettare passivamente le difficoltà della vita riuscirà a superare meglio i contraccolpi e a ricavare qualcosa di buono in ogni situazione!
Se affronti ogni situazione con atteggiamento costruttivo e creativo potrai impedire al pessimismo di avvolgerti nel suo velo, impedendoti di intravedere i potenziali vantaggi.
Se vuoi migliorare la tua capacità di vivere creativamente, dovrai abbandonare l’atteggiamento inconcludente che ti ha paralizzato in alcune circostanze.
La medicina che ti guarirà si chiama azione. Se ti darai da fare, se supererai l’immobilismo ti si apriranno nuove, stimolanti prospettive. L’antidoto più efficace contro l’angoscia, il timore, il senso di colpa, la depressione e ogni blocco che ti immobilizza è l’azione.
Sii creativo, agisci in accordo con le tue potenzialità. Quello che desideri è il futuro. Quello che ti ostacola è il tuo passato.

“La curiosità non ha età”

 Il desiderio di conoscere, di rendersi conto di qualcosa può considerarsi un aspetto proprio della natura umana; in questo senso si può affermare che l’uomo è curioso. L’espressione più eloquente di tale affermazione è riconoscibile nel bambino, pronto a mettere il naso dovunque proprio per sapere.
Per dare un significato alla curiosità non è sufficiente rifarsi all’istinto naturale dell’uomo, ma occorre anche rifarsi alle regole sociali e ai modelli che definiscono la cultura nella quale gli uomini vivono. In questa prospettiva la curiosità assume due significati: o viene considerata una delle doti caratteristiche di ogni ricercatore scientifico o di ogni artista, oppure viene indicata come modalità di comportamento leggero e pettegolo proprio di alcune persone e non di altre. Il primo significato ha un connotato positivo, mentre il secondo si presenta con uno sfondo negativo, come se la curiosità dell’artista e dello scienziato fossero da apprezzare mentre la curiosità nella vita quotidiana fosse criticabile. In realtà la curiosità istintiva del bambino viene sottoposta ad un processo di legittimazione che produce gli effetti appena descritti. Attraverso il processo di socializzazione viene insegnato al bambino ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, ciò che deve essere conosciuto e ciò che non occorre conoscere. Al termine di tale processo il bambino impara a distinguere i modelli di comportamento legittimi da quelli non legittimati, che egli percepisce come “proibiti”. Associando questi risultati con la curiosità, si capisce facilmente che essa diventa inutile nel primo caso, in quanto si conosce già ciò che si deve sapere, mentre diventa inopportuna nel secondo caso, nel momento che andrebbe a scontrarsi con la soglia del “proibito”. Questo atteggiamento rimane nell’adulto e definisce la modalità di azione della maggioranza delle persone, ad eccezione appunto degli artisti e degli scienziati, i quali rimangono  curiosi per definizione, dove quindi sono riconoscibili giustificati motivi per esserlo. Ci sono molti meccanismi che incoraggiano tale atteggiamento; al primo posto la scuola, ma successivamente tutto quello che esprime il cosiddetto controllo sociale, riconoscibile nei media, nelle dinamiche dei gruppi, nell’azione delle chiese, nelle attività delle associazioni e dei partiti, nell’azione delle istituzioni e così via. Interviene quindi nell’uomo un senso di accettazione di ciò che è legittimato, che progressivamente si sostituisce al desiderio di conoscere e che mette in serio pericolo la curiosità. In cambio ricevo una sicurezza, la sicurezza di non sbagliare, la sicurezza di essere approvato, mentre l’esercizio della curiosità ha in se una dimensione di incertezza, che può portare all’insicurezza, che può provocare esperienze negative, che può indurre all’errore. Su queste basi trova giustificazione e l’ha trovata in passato, la censura, intesa come proibizione di conoscere imposta da un’autorità per il bene sociale o per la difesa e l’affermazione di un certo modello culturale. In condizioni normali quindi per esercitare la curiosità occorre essere un po’ trasgressivi; occorre avere la disponibilità e il coraggio di andare oltre il confine del ‘proibito’, assumendo il rischio di scoprire qualcosa di imprevisto oppure di sbagliare. In questo senso il rapporto che si ha con la curiosità può essere paragonato al rapporto che si ha con il cambiamento in generale. Anche il cambiamento può far paura perché produce situazioni nuove, di cui non si conoscono gli effetti e le conseguenze, tant’è vero che per cambiare occorre sempre anche un po’ rischiare. Ed è proprio su questa base che nasce il detto popolare “mai lasciare la strada vecchia per la nuova”, tendente a scoraggiare il cambiamento in forza della sicurezza.
Collegando il tema della curiosità con quello dell’età si può facilmente capire la diversa valutazione che viene fatta a seconda che si tratti di un bambino o di un adulto o di un vecchio. Per il bambino la curiosità è una molla per crescere e per accompagnare la crescita con il cambiamento; perciò essere curioso è un aspetto fondamentale che spesso viene associato addirittura all’intelligenza. Per il vecchio, invece, la curiosità non è più riconosciuta come dote importante, perché si ritiene che il vecchio non abbia più nulla da imparare; si vorrebbe che il vecchio si limitasse ad insegnare ciò che ha già conosciuto, lasciando agli altri il compito della scoperta. Si vorrebbe che il vecchio fosse l’espressione dell’esperienza di ciò che è già stato convalidato. Tutto questo spiega, in una visione lineare della vita, nella quale si vuole collocare il cambiamento soltanto nell’età evolutiva. Se si analizza attentamente il processo di invecchiamento, si scopre però che il rapporto con il cambiamento nella vita è continuo e anzi proprio nell’età della vecchiaia il cambiamento diventa più che mai un elemento importante; soltanto che spesso manca l’energia, ma anche la disponibilità mentale per viverlo positivamente e in una prospettiva di crescita. Sembra paradossale affermare per l’anziano una prospettiva di crescita, ma è l’unica modalità che possa garantire un approccio positivo con la vecchiaia. Si tratta naturalmente di una crescita di conoscenza, un desiderio di nuovi interessi ma, in generale, un desiderio di futuro. In questo senso la curiosità fa diventare il vecchio “un po’ bambino” proprio perché gli da la prospettiva della crescita e la voglia di conoscere sempre più. In tale logica anche nella vecchiaia si possono intraprendere ‘strade nuove’, affrontando il rischio dell’errore. Si tratta soltanto di trovare quelle garanzie che permettono di affrontare i rischi con ragionevolezza e con coscienza, utilizzando tutti gli strumenti possibili. Coltivare la curiosità in ogni età diventa allora una condizione essenziale per accompagnare il processo di invecchiamento a condizione che si accetti l’idea che anche da vecchi si possa continuare a crescere nelle conoscenze e negli interessi.  Occorre, in altri termini, mantenere vitale l’attività mentale e cognitiva, perché è questa una delle chiavi principali per vivere i cambiamenti che inevitabilmente si presentano nell’età dell’invecchiamento.



LE OPINIONI

Come abbiamo visto l’uomo, secondo la psicologia sociale, è un cognitive miser, homo non-proprio-sapiens (Quattrone). Quando agisce socialmente non si serve della propria razionalità, ma si affida ad emozioni, sensazioni, impressioni, impulsi che possiamo definire irrazionali.
Questa caratteristica si capisce soprattutto prendendo in considerazione i comportamenti collettivi. L'irrazionalità della folla (e quindi dell’uomo in essa) è una sua caratteristica essenziale: scrive infatti Le Bon che le folle sono:
“incapaci di avere un'opinione qualsiasi al di fuori di quelle suggerite da altri [...] si lasciano sedurre dalle impressioni”.
La folla ha un’anima sua propria: la personalità singola sparisce, le qualità e le caratteristiche personali si perdono, i sentimenti e le idee si polarizzano orientandosi nella stessa direzione. Per capire come “ragiona” l’uomo-massa diventa allora importante studiare, più che il pensiero e la coscienza razionale, quello che accade quando l’individuo è stimolato a rendere pubbliche le proprie idee, a “prendere posizione”. Ecco perché un oggetto di indagine proprio della psicologia sociale è lo studio delle opinioni e degli atteggiamenti.
In generale un’opinione è quello che una persona pensa di una certa cosa, l’insieme di idee che possiede. In psicologia – così come nella tradizione filosofica da Parmenide a Husserl, che distingue doxa da epistéme – opinione e pensiero non sono la stessa cosa. Per pensiero si intende infatti un’attività avente lo scopo di formare concetti, formulare ragionamenti, arrivare a soluzioni di problemi. Per molti aspetti il pensiero coincide con l’intelligenza e con il problem solving. L’opinione invece non ha lo scopo di formare concetti, né di formulare precisi ragionamenti o risolvere problemi, ma si serve di concetti, schemi, categorie già formate. Mentre il pensiero per definizione è un’attività produttiva, le opinioni sono attività riproduttive.
Secondo gli studi di psicologia sociale, possiamo individuare le seguenti caratteristiche delle opinioni.
1. Sono conoscenze circoscritte. Le opinioni nascono sempre su questioni già esistenti, all’interno di un quadro culturale già definito. Questa caratteristica è importante, perché ci permette di capire una cosa: l’opinione nasce a partire da uno stimolo preciso che indirizza il processo mentale proprio in una certa direzione anziché in un’altra.
2. Sono l’aspetto pubblico del proprio pensiero.3. Sono dichiaratamente soggettive, esprimono cioè un punto di vista limitato.
4. Hanno valore di conoscenza.

Le opinioni hanno una funzione di orientamento cognitivo nella vita sociale e sono dunque una componente fondamentale della social cognition. In esse prevale l’aspetto cognitivo, perché sono un modo di presentare le proprie idee e le proprie conoscenze. La società ci richiede di prendere posizione, di esprimere pubblicamente quel che pensiamo, di sostenerlo con ragioni. Anche se spesso “coloriamo” affettivamente-emotivamente le nostre opinioni, resta il fatto che quest’ultimo rimane comunque un aspetto accessorio.

I BIASES

Dallo studio delle euristiche deriva un’immagine dell’individuo come dotato di razionalità limitata. Si parla, in certi casi, di cognitive miser, di un essere cognitivamente “taccagno” o homo non-proprio-sapiens. Questo aspetto è ancor più evidenziato dallo studio dei biases. Nel processo di comprensione commettiamo frequentemente degli errori. Ciò dipende dal fatto che le euristiche, essendo processi di ragionamento semplificati, incorrono spesso in errori sistematici (ingl. biases), ovvero in deformazioni della realtà.
 Si possono distinguere due tipologie fondamentali di biases:
- biases di comprensione;
- biases di attribuzione causale.
Biases di comprensione. Quando adottiamo uno schema, per ragioni di economia cognitiva, difficilmente lo abbandoniamo. Compiamo allora un’operazione mentale che va sotto il nome di autoconvalida:una volta che ci siamo formati un’idea tendiamo a conservarla a dispetto delle prove contrarie. L’autoconvalida ha un significato funzionale o di economia cognitiva: ci permette di non dover rivedere continuamente le nostre idee e intuizioni e quindi consente ad esse di organizzarsi e di strutturarsi.
Esistono diverse strategie che possono essere adoperate anche in combinazione: sono i c.d. meccanismi o costrutti di autoconvalida:
- Assunzione selettiva di informazioni e tendenza alla conferma. È il meccanismo più semplice. Una volta scelto qualcosa, si va alla ricerca delle prove che confermano la bontà della scelta fatta anziché delle prove che non la confermano.
 Esempio: Sono convinto che la vettura acquistata abbia buone prestazioni. Sulle riviste specializzate vado a leggere tutto ciò che conferma la mia opinione e lascio perdere il resto.
 - Reinterpretazione dei fatti. È un meccanismo di autoconvalida più sofisticato e consiste nel rivedere i fatti che hanno portato a una certa teoria da un punto di vista diverso.
 Esempio: Penso che Marco sia scontroso. Alla sua festa è simpatico e gentile con me. Mi convinco che si comporta così perché vuole ottenere qualcosa da me e resto della mia idea su di lui: non è gentilezza la sua, ma calcolo.
 - Relega in un campo inattivo. Nonostante siano presenti dati che contraddicono le nostre teorie, li valutiamo come non pertinenti, cioè li isoliamo in uno spazio di ininfluenza.
 Esempio: Scopro che il presidente degli USA, da me sempre stimato, ha relazioni extraconiugali. Penso che le faccende sentimentali private in politica non contano e continuo a stimarlo.
 - Recinzione. Se ci sono dati che contraddicono la nostra teoria (o le nostre scelte), questi cadono necessariamente al di fuori dello spazio coperto dalla nostra teoria.
Esempio: L’intervento del guaritore (stregone, sciamano, mago, ecc.) è fallito. Il guaritore sostiene che il demone penetrato nell’organismo è di un tipo troppo potente, che non può essere scacciato con i mezzi di cui egli dispone. La sua magia vale per gli esseri soprannaturali fino a un certo livello e non oltre.
 - Introduzione di un elemento perturbante o interferenza. Per spiegare fatti che contraddicono la nostra teoria si introducono fattori di disturbo esterni, non prevedibili.
Esempio: L’intervento del guaritore è fallito. Il guaritore sostiene che c’è stato un altro intervento, di segno negativo, che ha interferito con il suo.
 Biases di attribuzione causale
 - Self-serving bias. La tendenza generale che le persone hanno di attribuire i propri successi a cause interne e i propri insuccessi a cause esterne va sotto il nome di self-serving bias, ossia un’autoattribuzione (dei successi) e un’eteroattribuzione o un’attribuzione esterna (degli insuccessi).
 - Group-serving biases: l’attribuzione a cause interne stabili (bravura, intelligenza, ecc.) dei successi del proprio gruppo sociale e a cause esterne instabili quelle di altri gruppi (fortuna, circostanze straordinarie, ecc.).
 - Errore fondamentale. Quando noi osserviamo e valutiamo i comportamenti delle persone, generalmente tendiamo ad attribuire tali comportamenti alle loro qualità o disposizioni più che a fattori di tipo situazionale. Questo meccanismo introduce un altro concetto fondamentale e cioè quello dell’errore fondamentale di attribuzione, con il quale si indica quella tendenza generale di giudizio che i soggetti manifestano allorché, nell’individuare i fattori che determinano il comportamento della gente, sottostimano l’impatto dei fattori situazionali mentre sovrastimano l’impatto dei fattoridisposizionali. Il soggetto tende, secondo questo principio, ad attribuire il comportamento dell’attore a sue disposizioni permanenti, come ad esempio gli atteggiamenti, senza considerare che in alcuni casi l’attore assume determinati comportamenti perché non ha la possibilità di comportarsi in maniera differente. Questo processo introduce anche un altro meccanismo molto importante e cioè la differenza attore-osservatore nei processi attribuzionali, ossia quella tendenza sistematica a spiegare il comportamento degli altri nei termini di fattori disposizionali ed il proprio nei termini di fattori  situazionali o instabili. Le persone insomma tendono ad essere disposizionaliste solo quando giudicano il comportamento degli altri, mentre le stesse persone tendono ad essere situazionaliste quando devono spiegare il proprio comportamento.


ALTRUISMO E AGGRESSIVITA'

 ALTRUISMO E AGGRESSIVITA'
Aggressività e altruismo sono due poli di comportamento finalizzati alla sopravvivenza dell'individuo e della specie.
L'aggressività e le sue cause
Aggressività è un termine con cui in psicologia e nelle discipline antropologiche e sociologiche vengono designate molteplici forme di comportamento di attacco (dalla violenza distruttiva al sano spirito di competizione, dalle azioni effettive alle pure fantasie; perfino la maldicenza può essere considerata un comportamento aggressivo se si propone come finalità quella di ferire la persona verso cui è diretta), così come sono diversi gli oggetti a cui l'aggressività può essere rivolta (anche la propria persona). I comportamenti aggressivi possono essere accompagnati da un vissuto emotivo intenso e negativo: in questo caso si parla di aggressività ostile; se invece un comportamento che esprime aggressività avviene in assenza di stati emotivi specifici si parla di aggressività strumentale.
Quanto alle cause, vi sono teorie che considerano l'aggressività innata, e altre che la considerano derivata da condizioni ambientali; quanto alle funzioni, secondo alcuni indirizzi è utile alla crescita del singolo e della società, secondo altri è in prevalenza dannosa. Il comportamentismo sottolinea il carattere reattivo dell'aggressività rispetto a situazioni ambientali critiche, dunque il suo significato adattivo. In particolare Dollard e altri, in Frustrazione e aggressività (1939), ne evidenziano la dipendenza funzionale dalla frustrazione (vedi sotto “La teoria della frustrazione-aggressività”). L'idea che il condizionamento spieghi ogni comportamento, porta infine Skinner a negare ogni radice innata dell'aggressività e a ritenere che un giusto ambiente educativo eviterà nell'adulto ogni forma di comportamento aggressivo. Per l'etologia l'aggressività è istinto utile a conquistare il territorio, il rango nella gerarchia, l'accesso alla femmina. K. Lorenz, che distingue l'aggressività interspecifica (predatore-preda) dall'aggressività intraspecifica (tra i membri della stessa specie), la reputa sempre adattiva: con i meccanismi di “ritualizzazione” dei comportamenti aggressivi, l'animale non arriva a uccidere l'esemplare della stessa specie e in ciò è superiore all'uomo. Altri etologi hanno invece osservato forme di aggressione intraspecifica fino all'uccisione e al cannibalismo anche nei mammiferi.
Tra i punti di vista sull'aggressività, ricordiamo in particolare la teoria della frustrazione-aggressività, secondo la quale un individuo che si vede impossibilitato da cause esterne o anche interne al conseguimento dei propri scopi sperimenterà un vissuto di frustrazione che a sua volta produrrà collera, base di un atto aggressivo. In realtà però non è provato sperimentalmente che le persone frustrate abbiano necessariamente atteggiamenti o risposte aggressive, così come molti atteggiamenti aggressivi non sono scatenati da frustrazione. È stata dunque proposta da Berkowitz una rivisitazione di questa teoria sulla base che la frustrazione sarebbe da intendersi unicamente come causa indiretta dell'aggressività, mentre la collera è la causa diretta dei comportamenti aggressivi. Di conseguenza uno stato di frustrazione porterà presumibilmente un individuo a reazioni aggressive solamente se illegittimo, immotivato o intenzionale. Inoltre ricerche empiriche hanno posto in evidenza come anche l'ambiente di contorno possa influire sui comportamenti aggressivi degli individui (i livelli di aggressività crescono in situazioni già associate ad una qualche forma di aggressività) e come, più in generale persone già attivate emotivamente saranno più propense, se stimolate in questo senso ad assumere atteggiamenti aggressivi.
Invece la teoria dell'apprendimento sociale, proposta da A. Bandura, postula che i comportamenti aggressivi sono attuati dalle persone non a seguito di specifici vissuti emotivi, ma sulla base delle conseguenze positive e dell'approvazione sociale spesso connessa a tali atteggiamenti.
L'aggressività ha un suo ruolo importante anche in psicoanalisi: Freud, dopo la svolta del 1920 sulla dottrina delle pulsioni, arrivò a riconoscere una pulsione aggressiva comprimaria con quella sessuale. Per lo studioso austriaco l'aggressività è talora combinata con la pulsione sessuale, come nel sadismo e nel masochismo, ed è anch'essa soggetta a rimozioni (specie se rivolta contro le persone care), a inversioni (come nella depressione, in cui il soggetto attacca sé stesso per non attaccare l'altro), a spostamenti da un oggetto a un altro (il bambino che rompe i giocattoli a seguito di un rimprovero), a sublimazioni (come nelle battute di spirito). Funzionale alla vita sociale se tenuta a freno, può sempre esplodere nelle forme più irrazionali, individuali o di gruppo. La scuola di M. Klein, insistendo sull'onnipresenza delle fantasie distruttive, individuò le prime espressioni dell'aggressività nel rapporto del neonato col seno materno. In consonanza con vari orientamenti psichiatrici, la introduce poi metodicamente nella descrizione e spiegazione delle psicosi. Lacan e Kohut, pur partendo da presupposti diversi, la spiegano in relazione agli aspetti narcisistici della persona.
In psicoanalisi vi sono anche letture che sottolineano la funzione costruttiva dell'aggressività : già A. Adler la intendeva come spinta all'autoaffermazione, una concezione che avrà fortuna in ambiente anglosassone. I neofreudiani, riprendendo temi del marxismo, imputano la genesi delle forme distruttive allo sfavorevole contesto sociale; tra essi Fromm, in Anatomia della distruttività umana (1973), distingue una forma “maligna” di aggressività da una “benigna”, che è invece adattiva.
L'altruismo
Idealmente contrapposta, a livello sociale, all'aggressività troviamo la tendenza ad aiutare gli altri in maniera disinteressata: questa tendenza prende il nome di altruismo.
È importante sottolineare come i comportamenti altruistici sono fortemente rinforzati dalle norme sociali, le quali indicano come dovere preciso lo stare vicino agli altri quando sono in difficoltà. Anche per questo motivo non è semplice individuare comportamenti da citare come esempio di altruismo “puro”: come essere sicuri che il comportamento degli individui sia effettivamente disinteressato e non guidato dalla volontà di rispettare formalmente le regole apprese a livello sociale, o da vissuti emotivi collegati alla rassicurazione o all'autogratificazione, o ancora dalla speranza di qualche ricompensa più o meno tardiva per le proprie azioni?
Un concetto strettamente legato a quello di altruismo è quello di empatia, cioè l'immediata intuizione e partecipazione emotiva agli stati affettivi altrui. Ad esempio, ci dimostriamo empatici quando ci sentiamo addolorati per un amico che è stato recentemente lasciato dalla fidanzata. Il rapporto con l'altruismo è dato dal fatto che questo avvertire il dolore o lo stato di bisogno degli altri porta generalmente gli individui a mettere in atto comportamenti supportivi e di aiuto, anche quando questo potrebbe causare danni o disagi personali.
Stranamente gli studi degli psicologi sociali evidenziano come, poste davanti a una situazione di emergenza in cui è richiesto un intervento per prestare aiuto, le risposte delle persone siano inversamente proporzionali alla dimensione del gruppo stesso (diffusione di responsabilità ): più aumenta il numero delle persone presenti, meno il singolo si sentirà chiamato in causa e meno tenderà ad intervenire. Questo sulla base di un ragionamento del tipo: “Siamo in tanti, perché dovrei intervenire proprio io?”, oppure come reazione al confronto con il comportamento degli altri. Se nessuno interviene per prestare aiuto l'aiuto stesso appare come meno necessario o forse inopportuno. Inoltre, quando si tratta di prestare aiuto in situazioni di emergenza, l'intervento può avere conseguenze pesanti anche per il soccorritore, sia a livello fisico (intervenire per aiutare delle persone aggredite può portare a diventare a nostra volta soggetti a un'aggressione) che emotivo.
Aiutare non appare dunque più automatico dell'aggredire, anche se spesso si presta aiuto alle persone in difficoltà sulla base di un impulso all'azione, ma in genere il comportamento altruistico, così come tutti i comportamenti sociali dell'uomo, dipendono in gran misura dall'influenza del contesto sociale e della situazione specifica.




PARLARE DI AMORE CON I MIEI ALUNNI! COME E' DIFFICILE!

La via verso la felicità attraverso l'Amore:
Io ti amo non importa chi tu sia, cosa pensi, cosa dici o cosa fai!

Definire l'Amore come quello stato d'animo, quel sentimento che comporta benessere, felicità, liberazione dai conflitti interiori ed esterni e che esprime le proprie manifestazioni mediante l'affetto, la solidarietà, la compassione non è affatto azzardato. Del resto chi non intuisce, anche se in maggiore o minore misura, che l'Amore è qualcosa di nobile, sublime, meraviglioso?
Tuttavia, se l'Amore significa qualche cosa di molto bello, appagante e positivo per l'esistenza, come mai l'Umanità, pur disponendo di tale dote, vive in un diffuso malessere e in una conflittualità permanente, mentre ricorrendo all’utilizzo massiccio dell'Amore (patrimonio latente in ciascuno di noi), ovviamente ne scaturirebbe una qualità di vita meno traumatizzante, più serena e più felice? Sicuramente c'è qualche ostacolo, non di poco conto, a impedirci di percorrere la strada dell'Amore per raggiungere, noi esseri umani il traguardo di una sussistenza ideale, tanto agognata e inseguita.
Perciò, sarebbe molto importante, essenziale, che ognuno ci riflettesse sopra, cercando di sondare in profondità i propri sentimenti per scoprire la risposta. Cominciando, per esempio, dalla domanda: e se la chiave per conoscere e vivere l'Amore consistesse nel ribaltamento del criterio "il mio benessere, la mia felicità dipendono da quanto io sono amato" (al quale l'essere umano almeno fin qui, è portato, educato, abituato; ritenendo, talvolta, da sempre che questa modalità sia inequivocabile). Capovolgendo il concetto, ne risulta che: "La mia felicità, il mio benessere dipendono dalla dimensione in cui io amo".
Non importa alcunché
chi veramente tu sia,
cosa fai, cosa dici o cosa pensi,
lo stesso ti amo donna,
ugualmente ti amo uomo.
L'Amore che mi pervade
amando i simili a me
porta gioia al mio cuore,
irradia luce ai miei occhi,
arreca pace alla mia mente.
Sicuramente il vero Amore lo conosce chi lo crea,
chi ama e non chi è amato.

METODO FEUERSTEIN

 
Lo psicologo-pedagogista Reuven Feuerstein si dedicò da giovane all’educazione di figli di deportati, egli stesso visse la terribile esperienza dei campi di concentramento.
Si laureò sotto la guida del famoso psicologo Jean Piaget e nei suoi studi sviluppò quello che in seguito divenne l’organigramma del metodo che da lui prese il nome.
Secondo Feuerstein l’intelligenza è una potenzialità che può migliorare durante tutto l’arco della vita mediante stimoli che possono essere trasmessi da mediatori sociali cioè figure rappresentative nell’ambito della comunità ( genitori, insegnanti, operatori sociali).
I fondamenti del metodo sono costituiti da due nuclei chiave: la valutazione del potenziale di apprendimento(LPAD) e il programma di arricchimento strumentale(PAS) che si articolano in strategie di intervento tese a creare, sviluppare e attivare le potenzialità cognitive.
“E’ possibile educare i processi di pensiero, i potenziali intellettivi sono modificabili, educabili e rieducabili grazie all’influenza di mediazioni educative efficaci”( Paour 1998).
Il metodo Feuerstein, inizialmente applicato su soggetti con particolari deficit cognitivi, fu in seguito esteso a situazioni meno gravi come ad esempio il miglioramento delle prestazioni cognitive in ambito scolastico e attività manageriali.
L’educatore-mediatore ha il compito di creare un ambiente favorevole in cui le tecniche e le strategie usate possano trasmettere efficacemente gli stimoli.
Il lavoro in sinergia dei mediatori favorisce le modificazioni cognitiva del soggetto che gradualmente acquisisce comportamenti e atteggiamenti migliori dal punto di vista affettivo-relazionale riuscendo gradualmente a riflettere sulle proprie conoscenze e sui meccanismi messi in atto durante l’apprendimento (metacognizione).
Ai fini di una valutazione positiva del programma è necessario seguire le fasi con regolarità e senza nessuna interruzione.
Il metodo Feuerstein è attualmente usato nelle scuole di 14 Paesi e in alcune grandi aziende che ne hanno fatto la base per la formazione del personale.
METODO: due sistemi principali il LPAD, per l’analisi della capacità dell’individuo di modificarsi, individuando le condizioni nella modificabilità, ed il PAS, una serie di esercizi volti a sviluppare funzioni cognitive specifiche.
Il LPAD (Learning Potential Assesment Device - Metodo per la Valutazione Dinamica del Potenziale di Apprendimento) è una batteria di test per la valutazione del potenziale di apprendimento, fondante sul presupposto della modificabilità cognitiva ( =capacità di modificare le modalità di approccio cognitivo ai problemi per adattarsi a nuove situazioni di vita).
Il PAS (Programma di Arricchimento Strumentale) è formato da un insieme di 500 schede, organizzate in 14 strumenti che comprendono esercizi carta-matita finalizzati a sviluppare specifiche aree cognitive, come la percezione analitica, la capacità di anticipare mentalmente le azioni, l’orientamento nello spazio e nel tempo, il comportamento comparativo, la  classificazione…

USO DIDATTICO DEL BLOG ( PER INCENTIVARE I DOCENTI ALL'UTILIZZO)

Un primo vantaggio che si ottiene dall’utilizzo di strumenti on line quali blog, wiki, forum, classi virtuali è lo sviluppo negli studenti della capacità espressiva: giovani che malvolentieri si cimentano con carta e penna, trascorrono molto tempo a scrivere e-mail, sms, di poche righe che, tuttavia, sommati, riempirebbero interi quaderni. Internet rafforza la motivazione: “il primo aspetto che viene in qualche modo privilegiato dal blog è la voglia di scrivere, che in qualche modo viene incentivata e motivata, in quanto – un po’ come per il giornalino scolastico – il piccolo giornalista ha davanti destinatari autentici per il proprio testo. Inoltre il blog si presta sin dalla scuola primaria, anche ad esercizi di stile. Anche fra gli stessi utenti "non scolari", l'uso dei weblog finalizzato alla scrittura creativa è ormai affermato, anche attraverso libri scaturiti da esperienze in rete: da La notte dei blogger, a PerQuenau?, finiti in libreria, ma soprattutto dagli autonomi esperimenti condotti periodicamente in rete con la partecipazione di molti estimatori (giochi incipit ed explicit, giallini, scrittura mutante, drammi in 4 post...)”.
In secondo luogo i blog sviluppano la capacità critica in quanto ogni messaggio può essere ripreso e discusso, in quanto il ragazzo è invitato a raccogliere e a vagliare criticamente il materiale raccolto e i siti visitati, a confrontare la propria opinione con quella degli utenti on line. Chi interviene in queste sedi non è un professionista, un esperto di una specifica disciplina, un’autorità, il più delle volte è allo stesso livello degli altri utenti, quindi uno con il quale si può discutere.
Inoltre trae vantaggio anche la capacità comunicativa perché la comunicazione è rivolta a un pubblico potenzialmente vasto e quindi lo studente si rende conto della necessità di trovare il linguaggio e i registri adeguati ai vari interlocutori. Segnatamente, nell’insegnamento delle lingue straniere, la conoscenza di esse diventa indispensabile per farsi comprendere dalle persone di una determinata nazione.
Un altro elemento che fa propendere per questi strumenti riposa nel fatto che essi si basano prevalentemente su un lavoro cooperativo e richiedono che la classe sia organizzata secondo le modalità e le regole di questo tipo di lavoro. Favoriscono inoltre il rapporto tra insegnanti e alunni, il coinvolgimento delle famiglie e permettono di sviluppare i contatti tra scuole e la condivisione di esperienze.
Infine è un fatto che i giovani siano soliti usare Internet mediamente più degli adulti, ma una buona parte delle operazioni che compiono in esso ha finalità ricreative (giochi, chat, download di canzoni, …) sono ripetitive, vedono il ragazzo in posizione passiva e acritica. “Il weblog può consentire di superare una certa passività che è propria di chi naviga in Internet. Gli interventi su un blog sono qualcosa di più dinamico, di più simile alla conversazione. Mantenere un blog del resto è più dinamico, di più simile a una conversazione. Mantenere un blog del resto è più dinamico della stessa reazione di pagine HTML, perché è necessario concentrarsi solo sull’aggiornamento dei contenuti”.

Potenzialità didattiche:
  • capacità espressive (voglia di scrivere)
  • motivazione (prodotto reale indirizzato a un pubblico vasto)
  • capacità critica (discussione di ogni messaggio, selezione dei materiali, confronto con altri utenti)
  • capacità comunicative (farsi capire da tutti)lavoro cooperativo
  • approfondimento di argomenti (blog tematico)
  • utilizzo non passivo di Internet
Utilizzazioni in ambito didattico:
  • da parte del docente
    • fornire lezioni, compiti e comunicazioni agli allievi
    • moltiplicare le possibilità di accesso a materiali di particolare importanza, attraverso appositi link
    • potenziare l’interazione della classe anche attraverso discussioni e chat on line
    • fornire ulteriori stimoli per approfondimenti e compiti extra scolastici
    • mantenere i contatti con gli studenti assenti
    • coinvolgere i genitori nelle attività dei figli
  • da parte dell’alunno
    • coinvolgere i genitori nelle attività dei figli
    • interagire con blog degli insegnanti
    • portfolio, valutazioni
  • da parte di altri utenti
    • seguire il percorso educativo.

COME EDUCARE?

Educare creando legami e vivendo i luoghi, intrecciando i fili invisibili delle emozioni e dei sentimenti con le reti concrete, di persone, istituzioni, case, luoghi, costruzioni dell’intelletto umano.
Siamo legati dall’importanza che attribuiamo al lavoro educativo – nelle scuole, nelle comunità, in strada, in ogni luogo – come momento di costruzione della convivenza. Siamo legati dall’importanza che diamo agli affetti, alla cura, alle relazioni e alla reciprocità in esse, ai legami prossimi, familiari, amicali, magistrali.
Noi educatori sentiamo il bisogno di ritrovare i fili della nostra umanità nel rapporto con gli adolescenti e con i giovani, perché sono loro che vivendo fuori da ruoli precostituiti ci interrogano sul senso della vita. Insieme a loro abbiamo imparato e impariamo a lavorare senza l’ombrello di verità incrollabili, ma siamo pieni di paure e timori perché non sappiamo se la strada che intraprendiamo sia giusta.
Ci chiediamo dove e come è possibile educare ed educarsi. Se è possibile produrre comunità. Come può operare la famiglia in una realtà così complessa. Se ci muove verso l’altro ciò che è giusto.
Sappiamo che a scuola, luogo di educazione, in troppi casi la famiglia non c’è, perché è stata lasciata fuori o è molto debole perché avvilita dalle difficoltà della vita. Noi crediamo che qualsiasi attività di inclusione sociale debba in primo luogo ricostituire una relazione di cura, aiutando le famiglie o i pezzi di famiglie esistenti e mobilitando la comunità a farsi "famiglia sociale".
Ci preoccupiamo delle nostre città e del nostro vivere civile. Le città non sono le forti mura e i cantieri - diceva Aristide – la città è la gente che sa cogliere le occasioni che essa offre. Bisogna costruire case ed occasioni ed insieme apprendere e crescere attraverso le occasioni della città. Pensiamo di edificare insieme i legami che istituiscono gli spazi della convivenza e gli spazi urbani, dove gettare l’ancora dei legami sociali cosicché la città torni ad essere innanzitutto la gente.
Cerchiamo di apprendere gli uni dagli altri, ma cerchiamo anche di creare legami: rapporti di prossimità tra persone.
Come raggiungere questo obiettivo?
1 - Assumere la realtà dei ragazzi, accompagnarne la crescita
Entrare in contatto con i ragazzi e con giovani è un’arte difficile, soprattutto quando per molti motivi hanno sviluppato in modo raffinato pratiche di evitamento. I giovani sono sensibili più di ogni altro all’essere e avvertono ciò che è falso ed inautentico a grande distanza. Occorre un grande lavoro su se stessi per essere accettati, un lavoro che non si fa al chiuso e che si fa soprattutto esponendosi agli attacchi. Imparare dalle sconfitte è un’arte difficile.
Ed è difficile accettare l’altro e lasciarsi sedurre prima di poter educare; nel lavoro educativo nulla è a senso unico, senza reciprocità non c’è storia, non c’è crescita. Tirare fuori dallo stato di cose esistenti e attirare a sé sono i due movimenti della relazione educativa che si inseguono circolarmente.
2 - Educare educandosi - crescere insieme; mettere in lavorazione le esperienze;
Nel lavoro educativo interagiscono tra le altre due professioni molto simili, quella dell’educatrice e quella del docente. La possibilità di stretta interazione è legata al fatto che educatori e docenti sono latori di un messaggio educativo il cui contenuto è la persona stessa, "professioni di testimonianza" perché esibiscono se stesse come prova di verità. Perché il testimone – martyr – non diventi martire occorre un’assistenza continua finalizzata a mantenere l’integrità della persona, è necessaria la sistematica osservazione delle relazioni come campo di forze dentro cui sono immersi insieme i ragazzi, gli operatori, le famiglie.
3 - Produrre socialità e comunità; deontologia e diritti di cittadinanza;
Accettazione, restituzione, reciprocità, circolarità definiscono una deontologia degli educatori che è la base negoziale per un patto educativo con il giovane cittadino e la sua famiglia.
L’alleanza e il contratto educativo costituiscono lo sviluppo evolutivo dei sentimenti di appartenenza legati alla cura. Nessun progetto educativo o sociale può svilupparsi in modo sano se non a partire dall’aiuto alla cura o dalla riattivazione della cura, e quindi dall’aiuto a coloro che sono attivi nella cura parentale. Un aiuto finalizzato ad attivare legami sociali più ampli, mobilitazione di energie proprie, cittadinanza attiva,perché solo una socialità più ampia e meglio vissuta consolida i legami prossimali.
4 - Cura parentale, comunità, società. Professioni sociali per sviluppare legami.
Il benessere dei giovani, buona cura parentale e convivenza civile sono tre aspetti dello stesso processo. Il malessere dei giovani è una sorta di indicatore ecologico della cattiva qualità dell’atmosfera sociale in cui ciascuno di noi è immerso.
Nel territorio si stabiliscono e realizzano alleanze tra persone e contratti tra istituzioni. Il modo di prendersi cura dei giovani contribuisce a disegnare nuove organizzazioni locali, una nuova forma dello Stato. I processi di trasformazione delle istituzioni e delle leggi fondamentali dello stato postulano l’esistenza di istituzioni diverse ed autonome che devono continuamente dialogare e negoziare i rapporti. Le reti istituzionali che si occupano dei giovani non possono essere più separate o aggregate intorno alla scuola ma intorno ai rappresentanti dei cittadini, alla municipalità che ha un ruolo di aggregazione e stabilità delle diverse autonomie.
5 - Molte pedagogie, molti modi di apprendere e di lavorare.
E’ possibile un’alleanza in cui giorno per giorno la scuola fornisca mezzi, strumenti, concetti, scienza per migliorare la comprensione del mondo e arricchire le possibilità di relazione? E viceversa è possibile che l’educazione nei contesti di vita fornisca esperienze, senso, significatività sociale che sono la molla ad impegnarsi nello studio? E’ possibile una scuola che sia prolungamento sociale della cura parentale ed una cura parentale che sappia usare i mezzi intellettuali forniti dalla scuola per migliorare le relazioni tra i giovani e con in i giovani? Bisogna che ci siano ‘prove di dialogo’ tra educatori nel sociale e docenti nelle scuole confrontando le pedagogie nella scuola con le pedagogie fuori della scuola.
6 - Fedi, passioni, intelligenze, sofferte realtà: i motivi dell’impegno
Cosa è che ci muove? E’ il sogno onnipotente di una palingenesi sociale, la speranza metafisica di un giardino pacificato, la fede nel Dio creatore, la forza dei legami e degli affetti? Molte sono le religioni e le fedi, molti i credo ideologici. Nessuna fede è senza sofferenza e senza dubbio. Potrebbe essere bello che ciascuno esprima i propri dubbi, che gridi il proprio dolore: che si dica quanto sia difficile vedere Dio nella vita degradata di milioni di persone, che si dica quanto è difficile credere che l’uomo da solo possa costruire un mondo migliore, che si dica quanto sia difficile sperare nella gloria metafisica.
7 - Luoghi dell’animo, luoghi della città.
Tra la topografia della città e la topologia dell’animo ci sono affinità e segrete corrispondenze, ci sono potenti relazioni alla ricerca di luoghi da abitare e luoghi che chiedono relazioni significative. L’ingegno di organizzare spazi, abitazioni, strade, edifici da vivere e da intersecare con ricche relazioni, l’ingegno di arricchire la propria vita della ricchezza dei luoghi. L’ingegneria e l’architettura civile possono essere egualmente riferite alle abitazioni e alle relazioni sociali. C’è un altro dialogo da aprire tra professioni sociali.