Sito di Giuseppina Soricelli

venerdì 13 gennaio 2012

“La curiosità non ha età”

 Il desiderio di conoscere, di rendersi conto di qualcosa può considerarsi un aspetto proprio della natura umana; in questo senso si può affermare che l’uomo è curioso. L’espressione più eloquente di tale affermazione è riconoscibile nel bambino, pronto a mettere il naso dovunque proprio per sapere.
Per dare un significato alla curiosità non è sufficiente rifarsi all’istinto naturale dell’uomo, ma occorre anche rifarsi alle regole sociali e ai modelli che definiscono la cultura nella quale gli uomini vivono. In questa prospettiva la curiosità assume due significati: o viene considerata una delle doti caratteristiche di ogni ricercatore scientifico o di ogni artista, oppure viene indicata come modalità di comportamento leggero e pettegolo proprio di alcune persone e non di altre. Il primo significato ha un connotato positivo, mentre il secondo si presenta con uno sfondo negativo, come se la curiosità dell’artista e dello scienziato fossero da apprezzare mentre la curiosità nella vita quotidiana fosse criticabile. In realtà la curiosità istintiva del bambino viene sottoposta ad un processo di legittimazione che produce gli effetti appena descritti. Attraverso il processo di socializzazione viene insegnato al bambino ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, ciò che deve essere conosciuto e ciò che non occorre conoscere. Al termine di tale processo il bambino impara a distinguere i modelli di comportamento legittimi da quelli non legittimati, che egli percepisce come “proibiti”. Associando questi risultati con la curiosità, si capisce facilmente che essa diventa inutile nel primo caso, in quanto si conosce già ciò che si deve sapere, mentre diventa inopportuna nel secondo caso, nel momento che andrebbe a scontrarsi con la soglia del “proibito”. Questo atteggiamento rimane nell’adulto e definisce la modalità di azione della maggioranza delle persone, ad eccezione appunto degli artisti e degli scienziati, i quali rimangono  curiosi per definizione, dove quindi sono riconoscibili giustificati motivi per esserlo. Ci sono molti meccanismi che incoraggiano tale atteggiamento; al primo posto la scuola, ma successivamente tutto quello che esprime il cosiddetto controllo sociale, riconoscibile nei media, nelle dinamiche dei gruppi, nell’azione delle chiese, nelle attività delle associazioni e dei partiti, nell’azione delle istituzioni e così via. Interviene quindi nell’uomo un senso di accettazione di ciò che è legittimato, che progressivamente si sostituisce al desiderio di conoscere e che mette in serio pericolo la curiosità. In cambio ricevo una sicurezza, la sicurezza di non sbagliare, la sicurezza di essere approvato, mentre l’esercizio della curiosità ha in se una dimensione di incertezza, che può portare all’insicurezza, che può provocare esperienze negative, che può indurre all’errore. Su queste basi trova giustificazione e l’ha trovata in passato, la censura, intesa come proibizione di conoscere imposta da un’autorità per il bene sociale o per la difesa e l’affermazione di un certo modello culturale. In condizioni normali quindi per esercitare la curiosità occorre essere un po’ trasgressivi; occorre avere la disponibilità e il coraggio di andare oltre il confine del ‘proibito’, assumendo il rischio di scoprire qualcosa di imprevisto oppure di sbagliare. In questo senso il rapporto che si ha con la curiosità può essere paragonato al rapporto che si ha con il cambiamento in generale. Anche il cambiamento può far paura perché produce situazioni nuove, di cui non si conoscono gli effetti e le conseguenze, tant’è vero che per cambiare occorre sempre anche un po’ rischiare. Ed è proprio su questa base che nasce il detto popolare “mai lasciare la strada vecchia per la nuova”, tendente a scoraggiare il cambiamento in forza della sicurezza.
Collegando il tema della curiosità con quello dell’età si può facilmente capire la diversa valutazione che viene fatta a seconda che si tratti di un bambino o di un adulto o di un vecchio. Per il bambino la curiosità è una molla per crescere e per accompagnare la crescita con il cambiamento; perciò essere curioso è un aspetto fondamentale che spesso viene associato addirittura all’intelligenza. Per il vecchio, invece, la curiosità non è più riconosciuta come dote importante, perché si ritiene che il vecchio non abbia più nulla da imparare; si vorrebbe che il vecchio si limitasse ad insegnare ciò che ha già conosciuto, lasciando agli altri il compito della scoperta. Si vorrebbe che il vecchio fosse l’espressione dell’esperienza di ciò che è già stato convalidato. Tutto questo spiega, in una visione lineare della vita, nella quale si vuole collocare il cambiamento soltanto nell’età evolutiva. Se si analizza attentamente il processo di invecchiamento, si scopre però che il rapporto con il cambiamento nella vita è continuo e anzi proprio nell’età della vecchiaia il cambiamento diventa più che mai un elemento importante; soltanto che spesso manca l’energia, ma anche la disponibilità mentale per viverlo positivamente e in una prospettiva di crescita. Sembra paradossale affermare per l’anziano una prospettiva di crescita, ma è l’unica modalità che possa garantire un approccio positivo con la vecchiaia. Si tratta naturalmente di una crescita di conoscenza, un desiderio di nuovi interessi ma, in generale, un desiderio di futuro. In questo senso la curiosità fa diventare il vecchio “un po’ bambino” proprio perché gli da la prospettiva della crescita e la voglia di conoscere sempre più. In tale logica anche nella vecchiaia si possono intraprendere ‘strade nuove’, affrontando il rischio dell’errore. Si tratta soltanto di trovare quelle garanzie che permettono di affrontare i rischi con ragionevolezza e con coscienza, utilizzando tutti gli strumenti possibili. Coltivare la curiosità in ogni età diventa allora una condizione essenziale per accompagnare il processo di invecchiamento a condizione che si accetti l’idea che anche da vecchi si possa continuare a crescere nelle conoscenze e negli interessi.  Occorre, in altri termini, mantenere vitale l’attività mentale e cognitiva, perché è questa una delle chiavi principali per vivere i cambiamenti che inevitabilmente si presentano nell’età dell’invecchiamento.



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